La Roma del poeta Trilussa narrata da Ariele Vincenti

15 Apr , 2025 - Recensioni

La Roma del poeta Trilussa narrata da Ariele Vincenti

Lo scorso weekend il talentuoso artista romano è tornato sul palco del Teatro Domma di Acilia con La tovaglia di Trilussa, in cui poesia ed ironia vanno a braccetto con storia e osteria.

Ariele Vincenti ha portato in scena la vita avventurosa e la poetica straordinaria di un grande autore, Carlo Alberto Camillo Salustri, in arte Trilussa (1871 –1950), molto spesso sottovalutato o poco conosciuto. L’attore ha accompagnato con maestria il pubblico in un viaggio divertente e malinconico alla scoperta del “Poeta di Roma”, frequentatore di osterie, tra quartini di vino e tovaglie di carta.

Autore, insieme al drammaturgo Manfredi Rutelli, del testo La tovaglia di Trilussaomaggio al poeta che più di tutti ha rappresentato pregi e difetti della città eterna – Vincenti è riuscito pienamente nell’intento di far assaporare la vera romanità di una volta. Lo ha fatto raccontando dell’amicizia nata tra Remo, suo nonno nella finzione teatrale, e Trilussa che era solito andare a passeggiare e a trattenersi a parlare con gli animali dello Zoo di Roma, di cui il primo era il custode. Questo aneddoto, come altri sul rapporto con le donne, gli strozzini ed il regime fascista, viene fuori nella narrazione fatta durante una serata in osteria, in cui Remo è ospite del poeta ormai settantenne ed in vena di ricordi, oltre che di rime baciate, vino e sfilatini burro e alici. Anche nel dopoguerra e ormai avanti con gli anni, pur avendo problemi economici Trilussa non rinunciò alle serate in osteria, dove finiva per pagare il conto scrivendo i suoi versi sopra un pezzo di carta strappato dalla tovaglia unta. Per andare avanti compose anche le frasi per i biglietti dei Baci Perugina e le pubblicità delle Pasticche del Re Sole, mentre nelle osterie si divertiva a fare le sfide di rime con il trasteverino Cesare Pascarella, noto per i sonetti de La scoperta de l’America.

Nel 1889 Roma non arrivava a 400mila abitanti e la vita si svolgeva nei vicoli del centro. Sotto a palazzo Chigi le mamme esponevano le figlie in età da marito, supplicando Trilussa di scrivere per loro degli aforismi, quali “Fior de gerani la bella tra le belle è la Todrani!”; “Sora Isabella, voi siete de li monti n’antra stella!”. Aveva circa vent’anni quando gli pubblicarono “Le stelle de Roma“, trenta poesie dedicate alle più belle ragazze della città, che correvano a comprare la rivista popolare nella speranza di trovare quella avuta in dedica. Per la sua arte, ma anche per la sua eleganza, Trilussa era molto corteggiato, ma lo scapolo d’oro che dava peso alle parole, ad una sola donna disse ti amo: una bellissima ventenne, bruna, di nome Giselda, che fece entrare nel mondo del cinema col nome d’arte Leda Gys, ma che lo lasciò per un produttore, che poi fondò la Titanus. “C’è un’ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va…Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa”. Così c’è scritto sulla lapide del Maestro al Verano. Un’altra figura femminile fu importante nella vita del poeta: la ciociara Rosa Tomei, di Cori, che dal 1931 fu la sua giovane governante. segretaria e buttafuori di esattori, ufficiali giudiziari, strozzini.…perché tutti sapevano che Trilussa abitava vicino piazza del Popolo, in Via Maria Adelaide 7, ma non che l’abitazione avesse due entrate, così il poeta poteva sgattaiolare dal retro. Faceva i debiti perché sapeva che avrebbe restituito tutto, grazie al suo lavoro, cioè alle sue poesie. Non aveva altri guadagni, a differenza di Montale, Pirandello e Ungaretti che erano professori o di Gioacchino Belli che era un impiegato. Si deve alla rivista Il Rugantino la pubblicazione del suo primo componimento “L’invenzione della stampa”, scritto quando aveva soltanto sedici anni. Da lì prese ad andare in giro per i caffè teatro e a frequentare i circoli culturali ed i salotti della borghesia per declamare le sue favole, diventando una celebrità.

Trilussa ebbe un brutto rapporto con la vecchiaia e non trovò consolazione neppure nell’ammirazione che provavano per lui i più grandi scrittori, come Pascoli, D’Annunzio – di cui era amico -, Eduardo de Filippo, che gli chiese di poter tradurre i suoi versi in dialetto napoletano, Pirandello con cui aveva in comune la predilezione per la satira, l’odio per l’ipocrisia e l’amore per la Maschera, a cui anche Trilussa faceva ricorso per proteggere la sua grande sensibilità. A detestarlo, invece, erano gli amanti del Belli, i puristi del dialetto romanesco, che non digerivano il fatto che Trilussa fosse diventato famoso con un romanesco quasi italianizzato, reso universale ed apprezzato anche all’estero, ad esempio in Germania, dove si recò per la prima volta con il suo amico Fregoli, famoso trasformista. A Berlino l’Imperatore Guglielmo lo volle conoscere di persona; inoltre venne chiamato dalla Francia e addirittura dall’America dove volevano il permesso di tradurre le sue poesie. Al termine di una storica tournée in Sud America, si esibì persino davanti al Presidente dell’Argentina. In patria il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo nominò senatore a vita per “altissimi meriti nel campo letterario e artistico”; purtroppo, però, morì soltanto venti giorni dopo, il 21 dicembre 1950, e la sua casa-studio non diventò mai il Museo Trilussa, come gli era stato promesso. In occasione del quarto anniversario della sua morte fu inaugurata una statua nella posa tipica di quando recitava.

Ariele Vincenti in scena al Teatro Domma (Ph. M. De Donato)

Da sempre legato alla tradizione della poesia romanesca, Ariele Vincenti ha approfittato del periodo della pandemia per studiare a fondo la vita avventurosa di Trilussa e per leggere tutti i suoi scritti, più di mille poesie. Trilussa è stato uno dei pochi poeti della Storia che è riuscito a vivere solo di scrittura – si apprende durante lo spettacolo – e parliamo di fine Ottocento quando in Italia c’era un tasso di analfabetismo altissimo, del 75%, poi sceso al 30% nel 1940. Nella sua carriera artistica di oltre sessant’anni, nonostante glielo chiedessero, il Poeta di Roma non si iscrisse mai a nessun partito, eppure la sua arte ha attraversato l’Italia Umbertina, l’età Giolittiana, il primo dopoguerra, il fascismo e il secondo dopoguerra. Piaceva a tutti perché era libero e non aveva paura di nessuno: criticò il Vaticano, quando venne proibita la preghiera composta dalla Regina Margherita per l’assassinio del Re Umberto, e si mise pure contro il Regime: “Stanotte, invece, avemo da di’ male dell’Aquila reale…”. “Durante le mie ricerche – annota Vincenti – mi sono reso conto della grande attualità di Trilussa, il quale nei suoi scritti ha toccato aspetti della politica, del potere che nella Storia si ripetono sempre uguali. Sia le sue poesie ironiche sia quelle più commoventi e con un pizzico di malinconia sono moderne e universali. Vanno dritte al punto, senza retorica, parlando al cuore delle persone.”

Ariele Vincenti ed il M° Pino Cangialosi in un momento dello spettacolo (Ph. M. De Donato)

Abbiamo assistito ad un racconto teatrale, diretto da Nicola Pistoia ed accompagnato al piano dal M° Pino Cangialosi – prestatosi simpaticamente anche a far da spalla al protagonista – che restituisce la giocosa maschera del poeta Trilussa, a cui viene tributato il doveroso onore artistico e il giusto ricordo umano.

La spontaneità di Vincenti ha compiuto il resto, interagendo con gli spettatori e chiamando anche uno di loro, particolarmente appassionato di Trilussa, a salire sul palco per duettare insieme al termine della rappresentazione. “Tra ironia e commozione, provo a fare un teatro per tutti, un teatro popolare e colto, che nasce dalla scoperta di storie che mi appassionano e che provo a fermare per trasferirle allo spettatore. Questa mi è stata suggerita da Simone Cristicchi, mio amico e punto di riferimento artistico”, ha dichiarato l’attore, proseguendo col dire: “L’approccio umano con gli spettatori è stato il fondamento del teatro e va recuperato. E’ ora di tornare ad essere parte della polis, la città, il popolo, al pari del calcio e dell’arte culinaria”. La bellezza del teatro vivo che viene sostenuta dall’attore è confermata dagli applausi alla chiusura del sipario e dalla gente che lo attende all’uscita per complimentarsi e ringraziarlo delle emozioni suscitate.

Margherita De Donato


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