Grandi emozioni con il monologo di Ariele Vincenti che torna a raccontare la storia di Agostino Di Bartolomei per BAR CAMPIONI, il teatro colto e popolare in mezzo alla gente. Appuntamento il 27 luglio al Bar Necci nel quartiere Pigneto alla periferia di Roma (Municipio V).
L’attore-autore e regista Ariele Vincenti mette in scena, grazie a Fabio Morgan e a La Città Ideale, la storia di Agostino Di Bartolomei, storico capitano giallorosso degli Anni Ottanta che, finito ai margini una volta conclusa la sua carriera e depresso proprio perché emarginato dal mondo del pallone, è morto suicida il 30 maggio 1994. Il monologo inizia proprio da quel giorno, in un bar e da una prima pagina di giornale, procedendo attraverso gli occhi e la memoria di un tifoso della Roma vissuto nella stessa borgata di Agostino e suo amico d’infanzia. Ariele Vincenti prende per mano lo spettatore e lo porta a spasso con lui, tra le vie di Roma e nel passato, facendolo nello stesso modo in cui Di Bartolomei, cresciuto in borgata, portava in giro per l’Italia una romanità diversa, fondata sui valori della solidarietà e dell’ironia. Da piccolo giocava a pallone sotto casa, ma non dimenticava lo studio; alla professione arrivò perché lo vennero a cercare. Garbato ed educato, “Ago” detto anche “Diba” affrontava gli avversari sul campo con umiltà ed abnegazione e, quando segnava, s’inginocchiava davanti ai tifosi perché “bisogna avere sempre rispetto della gente che paga il biglietto”. Il suo era un calcio diverso, meno fisico e con meno simulazioni, senza tatuaggi né meches, pochi sponsor. Soltanto attaccamento alla maglia e rispetto delle regole e dell’avversario. Oltre alla passione per il calcio, il compianto numero 10 giallorosso (numero da trequartista, anche se faceva il libero, giocando in difesa) nutriva quella per i libri e l’arte, ma restava volentieri in silenzio quando non aveva qualcosa di intelligente da dire. Lo striscione con scritto “Silenzio”, che campeggia dietro Vincenti per tutto il tempo dello spettacolo, sta a indicare proprio questo atteggiamento. Il suo pregio più grande era l’umiltà e né la fama né i soldi lo avevano cambiato, essendo rimasto un uomo sensibile che la vita ha finito per schiacciare.
Attraverso la vita di Di Bartolomei, Vincenti racconta il calcio di un tempo, fatto di campetti di periferia con le porte definite dai giacchetti, di sfide tra i quartieri.
Indossando la maglia dell’epoca, targata Barilla, l’attore mette sullo sfondo la città di Roma (che ha raccontato di recente anche con lo spettacolo di storytelling urbano itinerante “I Nasoni Raccontano – la storia ha il naso lungo“, giunto alla VII edizione ed andato in scena a Torpignattara, ndr).
“Quando ho deciso di raccontare Ago volevo farlo dal punto di vista del popolo, della gente comune. Cosa ha significato per la città di Roma avere una figura così importante non solo come calciatore ma come uomo. Di tutti quei valori che lui trasmetteva alle nuove generazioni e fare in modo che arrivasse un messaggio ai giovani di oggi che non lo hanno potuto conoscere”, ha dichiarato Vincenti (fonte: qui) che, per preparare lo spettacolo ha passato mesi nel quartiere Tor Marancia, dove Di Bartolomei è cresciuto, e più precisamente nel bar ora gestito dal figlio di Marcello, che vedeva Agostino andare lì da ragazzino. Vincenti ha visto il tavolo dove il capitano silenzioso allora si sedeva e faceva ridere tutti con la sua innata simpatia.
Lo spettacolo ha replicato non soltanto a Roma e nel Lazio (a Nemi nel Teatro di Paglia presso l’Azienda Agricola il Nemus) ma è andato in scena anche fuori dai confini regionali, perché racconta la storia di un uomo, non soltanto di un calciatore.
Un uomo che aveva coronato il suo sogno di giocare a calcio e di farlo per quella maglia che, fin da piccolo, aveva sognato: la A.S. Roma, la sua squadra del cuore, che vantava atleti come Conti, Falcao, Pruzzo. La sua carriera sembrava scorrere come una favola: oltre dieci anni alla Roma (dal 1972 al 1984) con in totale 66 gol in 308 gare (di cui 146 con la fascia al braccio), tre vittorie in Coppa Italia e addirittura uno scudetto nel 1983. Ma gli mancò il lieto fine. Dopo la finale di Coppa Campioni persa in casa contro il Liverpool (chi non ricorda gli strazianti rigori del 30 maggio 1984) venne ceduto al Milan, dove rimase per tre anni. La sua esultanza dopo aver segnato contro la sua Roma gli scatenò contro l’odio della città. Cominciò per lui una parabola discendente: il sogno realizzato della serie A si infranse e “Ago” scese in basso, trasferito al Cesena e poi ancora più giù, in serie C, con la Salernitana. Passeranno poche stagioni e a fine carriera abbandona anche la città di Roma, per stabilirsi in un paesino della Campania. Dieci anni esatti dopo quella terribile finale, il 30 maggio 1994 uno sparo diretto al cuore riecheggiò nella villa di San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno. A lui che, romanticamente, voleva soltanto giocare a calcio come aveva fatto in strada fin da ragazzo, il mondo era crollato addosso. Deluso da come era andato il suo percorso, a soli trentanove anni, “Ago, il capitano silenzioso” trovò la via di uscita in un gesto estremo.
Una storia unica, fatta di amore, di vittorie, di solitudini e di tristezze
“Ogni volta è come la prima. È un’emozione, diventa quasi un rito, una responsabilità” – Vincenti ha raccontato in questa intervista – “Io l’ho visto giocare due volte, con la maglia del Cesena e del Milan, mai con quella della Roma. E non avendolo vissuto dovevo arrivare a un punto di conoscenza che mi permettesse di rispondere a qualsiasi domanda su di lui. Il primo input sono state le sue interviste, in campo”.
1 maggio 1983. La Roma è in testa al campionato e all’Olimpico arriva l’Avellino. Giampiero Galeazzi si avvicina a Di Bartolomei col microfono in mano: “Capitano mancano tre giornate, l’equipaggio chiede: andremo in porto o no?” Senza guardare la telecamera, Agostino risponde sicuro: “In porto sicuramente, vediamo di arrivarci col vessillo”. Il monologo di quasi due ore parte proprio da qui per entusiasmare il pubblico con la potenza del dramma e la carica delle risate.
Prosegue l’attore: “Quando racconto una storia, un personaggio, mi serve da pretesto per raccontare cosa lo contornava, andare a indagare le microstorie che ruotavano intorno ad Agostino. Ti immergi nella sua vita, dando risalto anche al contorno di quegli anni, quasi a scattare una fotografia. Il campo dell’OMI (la squadra del dopolavoro dell’Ottica Meccanica Italiana, ndr), ad esempio, è una storia unica. Quando ero ragazzino andavo a vedere la Libertas San Saba che giocava al campo di Tormarancia e sentivo i boati dello stadio dell’OMI. C’era più gente a vedè loro che ‘a vedè la Lazio. Ci sono tornato a distanza di 30 anni, ora c’è un centro fitness”.
Ariele Vincenti restituisce al calcio la sua poesia. Con questo spettacolo ha portato a teatro padri e figli insieme: vi hanno assistito anche tante persone a cui non piace il calcio, ma sono rimaste affascinate dalla storia di un uomo silenzioso, elegante sia come persona sia come calciatore. Era un modello, era il giocatore perfetto.
27 luglio ore 18:30 – BAR NECCI (via Fanfulla da Lodi, 68)
Ecco un estratto di quanto è stato scritto su “AGO Capitano Silenzioso”:
“Molto amore e qualche lacrima” – SKY TG24
“Una riflessione sul valore del silenzio” – IL MESSAGGERO
“Lo spettacolo restituisce al calcio la sua poesia” – ARTICOLO 21
“Si racconta il calcio educato…il calcio di Agostino Di Bartolomei” – TG3
L’ATTORE-AUTORE–REGISTA TEATRALE ARIELE VINCENTI
Margherita De Donato