Il regista romano Fabio Rosi, classe 1964, restauratore di film presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, presente come addetto ai lavori alla XIX edizione della Festa del Cinema di Roma dal 16 al 27 ottobre 2024 presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone dal lungo red carpet, uno dei più grandi al mondo.
Il suo corto Un Natale del 1945 costituisce la prima trasposizione cinematografica tratta da un racconto di Mario Rigoni Stern (1º novembre 1921 – 16 giugno 2008). “Abituato a leggerlo, a visualizzare mentalmente le sue suggestioni, sentivo che si poteva andare oltre, che era arrivato il momento di tradurlo in immagini reali.” , ha dichiarato lo stesso Rosi, risultato nel 2001 vincitore del Globo d’Oro della Stampa Estera in Italia per la Miglior Opera Prima con il lungometraggio “L’ultima lezione – Il mistero del professor Federico Caffè, scomparso e mai più ritrovato”, tratto dal libro di Ermanno Rea.
“Per girare Un Natale del 1945 – racconta il regista – è stata necessaria una vera e propria full immersion di una settimana tra location naturali e ambienti ricostruiti. Da sottolineare in particolare l’ultima giornata di riprese, con la scena più complessa dal punto di vista organizzativo, e un’intera aula scolastica degli anni ‘30 da filmare nel pieno delle attività. Sicuramente il giorno più sereno, allegro, stimolante e proficuo di tutta la settimana, grazie proprio alla presenza dei bambini/attori/alunni che hanno dimostrato capacità professionale e serietà assoluta, al contempo mai celando la genuina vitalità che ha reso la realizzazione del film perfetta.”
Una parte del corto è stata girata nel Comune di Enego, precisamente nella piana di Marcesina. Le riprese sulla neve sono state impegnative, ma il risultato finale è affascinante.
Reduce dall’ampio consenso ricevuto a Venezia, Napoli, in Sicilia e nel Salento, Rosi è in partenza per gli Stati Uniti, dove a metà novembre il suo corto parteciperà al festival di Miami, dopo essere già risultato vincitore del secondo premio assoluto al festival di Edimburgo e di numerosi riconoscimenti in diverse categorie ai festival di Glasgow (regia, montaggio, fotografia), di Atene (fotografia, attore protagonista) e di Rio de Janeiro: sceneggiatura, musiche, scenografia, sonoro; per quest’ultimo è stato premiato anche al festival di Londra.
IL CAST DEL FILM / GALLERIA FOTOGRAFICA / PRESSKIT
Fabio Rosi
IL SOGGETTO – Altopiano di Asiago, Natale del 1945. La guerra è finita da poco. Troppo poco, affinché le ferite delle vittime abbiano smesso anche solo di buttare sangue, e il frastuono dei colpi inferti dai carnefici abbia esaurito la sua eco. Eppure, la vita può e deve ricominciare, lì come in ogni angolo della Terra. È quello che pensano due uomini, diversi tra loro per età, estrazione culturale, vissuto, e soprattutto schieramento durante il conflitto appena terminato. Ognuno di loro è tornato alla propria attività con un peso in più da sopportare, chi sulla coscienza, chi sul corpo. Un tempo, assai remoto, erano come padre e figlio. Poi, più recentemente, le scelte diverse, l’inaspettato scontro, la ferocia, hanno cancellato quel sentimento. Ora, con il Natale a suggerire l’inizio di un nuovo corso, l’anziano maestro elementare ed ex brigatista nero repubblichino sente l’esigenza di riconciliarsi con le proprie colpe nei confronti del partigiano e suo alunno di un tempo. I due si ritrovano in un vecchio rifugio abbandonato d’alta montagna, con una vecchia clessidra, dono che molti anni prima aveva suggellato la loro amicizia. Quell’incontro e quella clessidra faranno affiorare ricordi che il tempo forse non potrà mai cancellare.
I protagonisti di “Un Natale del 1945” sono Paolo De Vita e Raffaele De Vita. Padre e figlio nella vita reale, nel cortometraggio dimostrano come ideali diversi possano allontanare anche persone che un tempo erano unite da legami profondi.
L’Altopiano di Asiago, anche detto “dei Sette Comuni”, sorge in Veneto a 1000 metri di altitudine, in provincia di Vicenza. I Comuni sono quelli di Rotzo, Roana, Asiago (il centro principale), Gallio, Foza, Enego, Lusiana-Conco.
BIOGRAFIA DI MARIO RIGONI STERN
«Rigoni Stern ha dato ascolto alla voce che gli parlava dentro». Alberto Asor Rosa
NOTE DI REGIA – Occorre precisare da subito una cosa: in Mario Rigoni Stern la parola è essenziale, scelta con cura, sottratta più che aggiunta. Soprattutto in questo racconto. Di qui la mia scelta, nel film, di non usare che immagini, suoni, rumori. Mai parole – propriamente ‘battute’ – se non alla fine, con quell’unica, concisa sentenza, che pesa però come un macigno sulle coscienze di entrambi i personaggi. Non un film muto, piuttosto un film non parlato. Dove a “parlare” sono gli ambienti, i volti, gli sguardi, le emozioni. Un film a colori (il passionale presente), con due flashback a colori desaturati (il passato prossimo e il passato remoto, che riaffiorano implacabili). Un uso formale della macchina da presa, rispettosa e non invadente. Una scena in particolare, la scena del pianto, dove far convergere la “pancia” dei personaggi e degli spettatori, dove tutto è in discussione e dove addirittura si sarebbe portati ad immaginare l’happy end. E, infine, una pendola, una clessidra, il giorno, la notte: il senso del tempo che scorre, che attende. Lo spunto storico è di gran moda, va da sé. E lo sarà per molti altri anni. Direi almeno trentacinque/quaranta. Forse, con e dopo il centenario della liberazione del 25 aprile, le memorie saranno diventate ‘ricordi dei ricordi’, abbastanza storicizzate da poterle affrontare con l’ottica del distacco etico. Da parte di tutti. Sarà allora che si potrà parlare di ‘riconciliazione’? Prevarrà la voglia di consegnare definitivamente un’altra pagina alla Storia remota, quella che non suscita emozioni ma solo nozioni? Probabile, con buona pace di chi è stato e ormai non sarà più. È così che va la vita. Non oggi, però. Oggi è ancora il tempo di ricordare. Il racconto di Mario Rigoni Stern parla dell’evidente impossibilità di riconciliazione, attraverso un particolare incontro tra due anime cui il tempo ancora non ha restituito la dignità risolta di chi guarda avanti e basta. Due personaggi che l’autore delinea con estrema chiarezza, l’uno carnefice, l’altro vittima. Senza possibili equivoci. Paradossalmente è il primo a tentare un gesto positivo. Ed è il secondo a togliere di mezzo ogni dubbio su un ipotetico buonismo, con la sua risposta dal contenuto diametralmente opposto. Eppure, perché non mi sento di condannare quest’ultimo? Di più, perché mi sembra di non potere fare a meno di approvarne il comportamento? Nella battuta secca e tagliente con cui il racconto si chiude, è implicito il senso del tempo che ancora non è. Anzi, proprio la mancanza di ulteriore scrittura, la volontà di Rigoni Stern di volersi fermare lì e non andare oltre, rende quelle parole dogmatiche. E il tono sommesso, sottolineato proprio dall’autore, con cui tali parole vengono pronunciate dal personaggio, conferisce loro una sacralità impossibile da espugnare.
“la riconciliazione vale sul futuro e mai cancella il passato” – Fabio Rosi
IL RACCONTO FA PARTE DELLA RACCOLTA “ASPETTANDO L’ALBA” (ascoltalo qui)
Le riprese si sono svolte nel febbraio del 2023 sull’Altopiano di Asiago
Margherita De Donato
Fabio Rosi con il Globo d’Oro vinto nel 2001 per la Miglior Opera Prima con il lungometraggio “L’ultima lezione”, tratto dal libro di Ermanno Rea (Credits: Margherita De Donato)