Ancora premi per Fabio Rosi e Un Natale del 1945

17 Nov , 2024 - Protagonisti

Ancora premi per Fabio Rosi e Un Natale del 1945

Intervista al regista Fabio Rosi che ha vinto la quinta edizione del NAWADA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL in INDIA, aggiudicandosi i premi Miglior Film, Migliore Regia e Premio del Pubblico.

Il cortometraggio UN NATALE DEL 1945 continua la sua scalata in vetta al successo.

Già vincitore del secondo premio assoluto al Festival di Edimburgo e reduce dall’ampio consenso ricevuto a Venezia, Napoli, in Sicilia e nel Salento, il regista Fabio Rosi, che ne ha firmato anche il soggetto e la sceneggiatura, di ritorno dagli Stati Uniti – dove di recente ha partecipato al Miami Short Film Festival – è stato raggiunto dalla notizia della vittoria al NAWADA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL in INDIA come Miglior Film, Migliore Regia e Premio del Pubblico.

I tre riconoscimenti si aggiungono ai numerosi Awards ottenuti al Festival di Glasgow nelle categorie regia, montaggio, fotografia, al Festival di Atene (fotografia, attore protagonista), a quello di Rio de Janeiro per sceneggiatura, musiche, scenografia, sonoro; quest’ultimo premiato anche al Festival di Londra.

Siamo nel pieno dell’inverno, in un luogo remoto dell’Altopiano di Asiago. Un giovane uomo, ex partigiano appena tornato dal campo di concentramento, cerca di curare le proprie ferite psicologiche e di ritrovare il proprio equilibrio nel lavoro e nella solitudine della natura. Il giorno di Natale riceve la visita inaspettata di un uomo più anziano, un ex repubblichino, che era stato suo maestro ed amico, ma che poi l’aveva denunciato ai fascisti. È venuto a chiedere il perdono e a cercare la pace: ma si possono perdonare delle azioni che hanno causato tanta sofferenza a se stessi e agli altri? Questo è quanto si legge nella sinossi del corto a cui hanno preso parte tanti affermati professionisti del settore, dagli attori (Paolo De Vita e suo figlio Raffaele) ai vari membri della troupe, che hanno accettato senza riserve di far parte del progetto. La fotografia porta l’impronta di Fabio Olmi, figlio del regista Ermanno. Oltre trenta persone coinvolte, in simbiosi tra loro per un’intera settimana e legate da un notevole spirito di gruppo. Non ultimi, il sole, la neve, la montagna, insomma l’Altopiano, a pieno titolo tra i protagonisti insieme agli altri.

Qui di seguito abbiamo posto alcune domande all’artefice di questo film pluripremiato, il primo tratto da un racconto di Mario Rigoni Stern.

Fabio Rosi, classe 1964, cineasta e restauratore di film presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ai suoi esordi cinematografici è partito dal settore dei corti (ricordiamo alcuni titoli “Stesso posto stessa ora”, “Prova d’attore”, “Affetto per sempre”) e nel 2001 ha affrontato la regia del lungometraggio “L’ultima lezione – Il mistero del professor Federico Caffè, scomparso e mai più ritrovato”, tratto dal libro di Ermanno Rea e con cui si è aggiudicato il Globo d’oro della Stampa Estera in Italia per la Miglior Opera Prima.


Fabio, con “Un Natale del 1945” sei tornato a dirigere un corto. A cosa è dovuta questa scelta? Essenzialmente al discorso dei finanziamenti. Un cortometraggio costa fino a trenta volte meno di un lungometraggio, quindi richiede un minore investimento, ma è anche vero che potenzialmente è più facile ottenere finanziamenti per un film, che agli occhi degli investitori ha una possibilità di incassi maggiori tramite le uscite in sala, la vendita alle televisioni e ai mercati internazionali. “Un Natale del 1945” è costato 40 mila euro, che sono sono stati un investimento di tipo cinematografico, fatto da persone che lo hanno finanziato, sapendo che era un’operazione culturale, un’interpretazione di un’opera letteraria preesistente.

Oltre alla regia, firmi il soggetto e la sceneggiatura ed anche stavolta sei partito da un libro. Perché hai deciso di rappresentare proprio l’omonimo racconto del famoso scrittore altopianese Mario Rigoni Stern? (autore anche dell’autobiografico “Il sergente nella neve” che parla della ritirata dalla Russia, ndr) . Quando con L’Ultima lezione ricevetti il Globo d’oro, fui invitato ad un festival dedicato alle opere prime, sull’altopiano di Asiago, a Gallio, dove peraltro vinsi. Gli organizzatori mi hanno invitato a tornare come giurato negli anni successivi – ormai sono quasi 25 anni che siedo in giuria. Ho potuto così apprezzare e legarmi a quei luoghi, che sono stati territorio della Prima Guerra Mondiale, un argomento appassionante per me che sono laureato in Storia moderna e contemporanea. Tant’è che mi è stato proposto di realizzare un’opera su Rigoni Sten, che è proprio di Asiago. Si era ipotizzato di fare un lungometraggio, partendo dai suoi romanzi, ma poi probabilmente proprio perché bisognava trovare investimenti tra privati, abbiamo cercato un suo racconto che potesse essere trasposto al cinema, cosa neppure facile, perché Stern è molto suggestivo, usa le parole per evocare immagini, ma di dialoghi in genere ce ne sono pochi. Inoltre scrive della natura, dell’animo umano, quindi nei suoi testi è un po’ difficile trovare azione: in termini tecnici cinematografici le trame in Stern sono pressoché inesistenti. Ho individuato questo racconto molto evocativo, da cui ho ricavato una sceneggiatura e subito hanno aderito diversi imprenditori locali e la Regione Veneto. La cosa ha funzionato così bene che il corto sta tuttora girando per festival, aggiudicandosi molti premi, ci tengo a dirlo, all’estero e in Italia soprattutto al sud…un po’ strano per essere un corto ambientato in territori montani.

Le riprese si sono svolte nel febbraio del 2023 sull’altopiano di Asiago. Hai incontrato difficoltà particolari nel girare a causa dell’ambientazione o del clima? Paradossalmente, da non crederci, l’anno scorso non c’era neve, per cui la difficoltà è stata quella di andare a cercare dei panorami, dei punti in cui ce ne fosse abbastanza da giustificare il titolo Un Natale del 1945 (a proposito, questo non lo cambio mai, specie se appartiene ad un’opera letteraria di successo, un po’ per scaramanzia, ma anche perché non voglio marchiarla con la mia impronta). Alla difficoltà di inquadrare per terra, si aggiungeva quella delle riprese in aria, perché – trattandosi di un film cosiddetto in costume – quando si inquadra in cielo si deve stare attenti ad antenne, macchine, rumori e scie di aeroplani, perché quelle sono zone in cui ci sono tantissime basi militari. Per la ricostruzione degli ambienti siamo stati facilitati dalla presenza della bravissima scenografa Marianna Sciveres – che ho conosciuto al Centro Sperimentale nel 1988 – che a Gallio ha ricostruito completamente gli interni di un casone storico del primo dopoguerra, di cui avevamo gli esterni originali ben conservati. La sapiente opera del direttore della fotografia Fabio Olmi, figlio del celebre Ermanno, ha fatto il resto.


La colonna sonora è del trio Matilda Mothers Project, di cui fa parte tuo fratello Luca. Tu che rapporto hai con la musica? La musica per me è fondamentale. Non potrei concepire un qualsiasi audiovisivo senza avere la possibilità di commentarlo e di rafforzarlo con la musica. Sono innanzitutto un grandissimo fruitore e suono per diletto. In alcuni brani del mio primo film L’ultima lezione ho suonato il basso su espressa richiesta di mio fratello, che ha voluto che partecipassi alla sua colonna sonora. In quel film mi ero ritagliato anche un piccolo ruolo.

Facciamo un passo indietro nel tempo. Qual è stato il tuo approccio al mondo del cinema? In realtà la mia prima passione è stato il teatro. Fin da ragazzino nel gruppo di amici, in classe, ero l’animatore di piccole messe in scena, poi sempre da dilettante, sono diventati piccoli atti unici nel teatro parrocchiale. L’esordio cinematografico è stato quasi casuale perché, terminato il servizio militare, sono andato a New York dove avevo dei legami familiari e avrei voluto frequentare un corso di teatro presso la Fordham University. Ma, una volta lì, ho finito per iscrivermi ad uno di Film Making, forse perché, pur parlando bene l’inglese, avrei potuto nascondermi dietro la macchina da presa e limitarmi nelle battute. Ho realizzato un paio di cortometraggi in super 8, una era addirittura un’animazione di oggetti in stop motion. Ho ricevuto molti complimenti e così è partito il mio interesse per il cinema. Tornato a Roma, ho sentito parlare del Centro Sperimentale di Cinematografia, al quale sono stato ammesso grazie a quei corti e ad una particolarissima storyboard, che realizzai ritagliando le inquadrature dei fotoromanzi, per ricavare i campi, i contro campi, i totali ed inventare una storia che risultasse credibile.


Parlando della tua formazione: laurea in Lettere Moderne con una tesi sul “ Linguaggio del Cinema di Hollywood negli anni ´70”; corso di Film-Making di tre mesi presso la Fordham University at Lincoln Center di New York; diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Consiglieresti il tuo stesso percorso ad un giovane o, perché no, ai tuoi figli, se volessero seguire le tue orme? Adesso la situazione è totalmente cambiata rispetto a quando ho studiato io, perché allora era complicato, esisteva solo la pellicola. Magari si riusciva a girare qualcosa in super 8, i più fortunati in 16 mm, ma poi i risultati delle postproduzioni non erano grandiosi. Sono entrato al Centro Sperimentale per poter girare in 35 mm. Oggi è più facile,
basta un telefonino di ultima generazione per fare delle riprese senza neanche dover fare il montaggio. Eppure io sono ancora convinto che la base di tutto è la preparazione culturale, perché contano l’apertura mentale, le belle idee, mentre la tecnica si può imparare o la si condivide con altri. Il cinema è un’opera collettiva, in cui il regista condivide la sua visione con altri;
non deve necessariamente essere un genio tecnico, esperto in macchina da presa, costumi, scenografie e suono, ma può recepire tutti gli stimoli che vengono dai suoi collaboratori.
Quindi consiglio di alimentare la propria curiosità studiando, leggendo, ascoltando per apprendere il più possibile da tutti. Se non avessi fatto questo corso di studi, che mi ha fatto stare per anni sui libri, oggi sarei sicuramente più povero ed avrei affrontato in maniera molto diversa il fatto di essere un regista. Quanto ai miei figli, penso che entrambi abbiano recepito questo stimolo ad aprirsi la mente. Gianni, il maggiore, si sta laureando al Dams e vorrebbe proseguire gli studi in fotografia come operatore cinematografico, mentre Michelangelo studia comunicazione, è appassionato di giornalismo sportivo ed il suo interesse per il cinema è da semplice spettatore.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Come dicevo, inizialmente si era ipotizzato di realizzare un lungometraggio tratto dai romanzi di Stern. Considerato il successo del corto, adesso potrebbe risultare più facile trovare investimenti e, quindi, nel lungo periodo si potrebbe ampliare questo progetto. Nell’immediato continuo a promuovere il corto, partecipando a festival e attraverso presentazioni private. Nei giorni scorsi ne ho fatta una allo Spazio Caffarella, presente anche il produttore Roberto Gambacorta della Rio Film di Roma. Molte persone, che avrebbero voluto assistere alla proiezione preceduta dalla lettura del racconto, purtroppo sono restate fuori per esaurimento dei posti e mi hanno chiesto di replicare, prediligendo questa volta la zona sud di Roma. Anche molte scuole si sono mostrate interessate ad organizzare delle proiezioni con dibattito con gli studenti, quello che preferisco fare, perché trovo molto stimolante l’incontro con loro. A detta dei miei figli, avrei potuto essere un ottimo insegnante di Storia al Liceo, perché ho una smisurata passione per la Storia. La stessa mia tesi di laurea sul Cinema degli anni ’70 ad Hollywood è arrivata al termine di un corso di studi in Storia Moderna.

Ci congediamo da Fabio, facendogli un grande in bocca al lupo e chiedendogli di tenerci aggiornati sulle prossime novità.

Margherita De Donato

IL RACCONTO FA PARTE DELLA RACCOLTA “ASPETTANDO L’ALBA” (ascoltalo qui)


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